venerdì 30 gennaio 2009

La terapia del gioco come approccio centrato sul cliente bambino

TANTO PER INIZIARE…

“Giocare è illusione e realtà, è ripetere e sperimentare allo stesso tempo; pone in evidenza desideri e paure, ma soprattutto è una cosa tremendamente seria e veramente divertente, oppure apparentemente seria e tremendamente divertente.”
Anonimo

I. è un bambino di 7 anni, che è stato coinvolto in un grave incidente stradale, nel quale la mamma ha perso la vita. Da quel giorno il bimbo non parla quasi con nessuno, ha frequenti episodi di enuresi diurna e soffre di incubi durante la notte, durante i quali rivive la morte della madre.

M. è un bambino straniero di 12 anni, orfano di madre, seguito da un’addetta all’assistenza e vive in Italia con il padre. M. è fisicamente aggressivo con gli altri ed ha sempre la sensazione che tutti parlino male di lui alle sue spalle.

S. ha 5 anni e i genitori sono molto preoccupati, perché il bambino, da un certo momento in poi, apparentemente dalla nascita del fratellino, non parla più con nessuno, tranne qualche parola che rivolge alla mamma e al papà. Il bambino si esprime solo a gesti o con l’espressione del viso, ride in silenzio e non associa nessun suono ai giochi che fa.


Questi bambini mi hanno messo seriamente in discussione, portandomi a chiedermi quale potesse essere un canale di comunicazione per creare un punto di contatto con loro… allora … perché non provare con il GIOCO?

I. ha iniziato a parlare solo nel momento in cui è riuscito a rappresentare, con i giochi che aveva a disposizione, l’incidente che aveva subito e la morte della madre.

M. ha ricominciato a percepire la realtà esterna non come persecutoria, giocando con gli altri bambini in un contesto di terapia del gioco, controllando la sua forza ed esprimendo le emozioni con le parole, a volte con le lacrime, ma non con le mani.

S. ha ricominciato a parlare all’adulto, dopo due anni di silenzio, solo iniziando ad associare i suoni ai giochi che faceva con il terapeuta.


IL BAMBINO…QUESTO SCONOSCIUTO

“il modo più semplice e probabilmente il più utile nella clinica di avvicinarci ai costrutti di una persona è chiederle quali sono… Se non sai che cosa non va in un cliente, chiediglielo; te lo può dire.”
Kelly, 1955

Kelly può essere visto come un provocatore, alla luce della miriade di tecniche, strumenti, test, procedure standardizzate con precise regole statistiche, che riempiono pagine e pagine dei grossi manuali di clinica e diagnostica, i quali hanno accompagnato il mio percorso di studi.
La mia formazione in psicologia evolutiva è stata impregnata di approcci cognitivisti e di test ed il costruttivismo ci è stato ampiamente insegnato solo in merito alla psicologia educativa e scolastica.
Le teorizzazioni di Piaget, Vygostkij e Bruner sono state ripetute fino alla nausea, ma ho sempre avuto la sensazione che ciò che alla fine passava erano pure nozioni e noi, ancora inesperti, difficilmente riuscivamo a cogliere la trama narrativo-costruttivista che intessevano questi grandi teorici.
Kelly non è mai stato nominato; io, personalmente, l’ho scoperto per puro caso ed è stato come un colpo di fulmine.
Nel mio bagaglio conoscitivo ed esperienziale ho imparato ad utilizzare test e questionari per qualsiasi ambito o “problematica” del bambino o dell’adolescente e mi sono sempre chiesta se questa potesse essere l’unica via o la più “privilegiata”.
Ad un basso livello di consapevolezza, quasi a sensazione, sono sempre stata convinta del contrario e questo mi ha portato prima ad intraprendere il percorso della psicomotricità e poi a scegliere una scuola di psicoterapia costruttivista. Penso di essere stata anche un po’ aiutata dal “leggero” fastidio che provavo quando vedevo bambini, anche piccoli, costretti a star seduti per essere sottoposti a test infiniti, per poi venir etichettati dalla loro stessa performance, un po’ forzata, tirata per le lunghe, influenzata dall’ansia o dal loro span attentivo limitato.
Non voglio dire che non concordo con l’uso dei test, anzi, secondo il mio sistema di costruzione sono certamente dei buoni mezzi, se usati in chiave collaborativa con il cliente; non sono d’accordo, però, sul loro uso “bombardante” od esclusivo per giungere alla definizione del “problema”.
Sono dell’idea, che anche in questo caso, possa essere la creatività dello psicologo-terapeuta, la flessibilità nel saper usare modalità di approccio differenti, a seconda della percezione della realtà del bambino e l’integrazione di ambiti conoscitivi differenti ad offrire un approccio adeguato al piccolo cliente.
Penso anche che ogni approccio teorico in psicologia abbia i suoi punti di forza e quelli di debolezza, come pure degli ambiti specifici in cui ogni diverso orientamento si mostri particolarmente efficiente.

Sto tuttora approfondendo la questione delle applicazioni teoriche e più in là terapeutiche all’età evolutiva e, anche per riuscire a scrivere questa breve tesina, ho letto articoli e reportage, la maggior parte dei quali in lingua inglese, e mi sono confrontata con teorizzazioni differenti.
Ho concluso che:
- la maggior parte delle diagnosi e delle terapie riguardanti i bambini e gli adolescenti sono di stampo narrativo-costruzionista;
- gran parte dei teorici, che si sono specificatamente dedicati all’ambito evolutivo, sono inglesi o americani;
- è un ambito che dà ampie ed ulteriori possibilità di sviluppo.

Un aspetto che ricorre in tutti questi lavori è la proposta di una diagnosi transitiva, che si sforza di accostare la vita ed i problemi delle persone in termini propositivi, senza categorizzare.
La diagnosi basata su manuali diagnostici come il DSM-IV e l’ICD-10 rischia talvolta di assumere il carattere di un giudizio, comunicando un deficit. Una volta che sia stata definita la cornice della “realtà patologica” tramite un’elenco di sintomi, non è difficile, per le persone diagnosticate, riconoscersi in quelle descrizioni ed identificarsi con quella “patologia”. Quando la persona viene definita tramite un’etichetta diagnostica e, per un gioco di rimandi interpersonali, si costruisca lei stessa come “quella cosa” che l’etichetta definisce, c’è il forte rischio per il “malato” di perdere la possibilità di costruirsi in altri modi, come pure di trovare soluzioni differenti alle circostanze che l’hanno imprigionato in quel ruolo. Questo processo ha un effetto ancora più significativo per il bambino, che a causa dell’immaturità del suo sistema di costruzione personale e dell’elevata dipendenza nei confronti degli adulti di riferimento, non possiede le risorse personali per concepirsi diversamente da come mamma e papà o gli insegnanti lo rappresentano. I rimandi relazionali che le figure di riferimento gli pongono, fanno sì che la diagnosi attribuita si presenti come “l’unica realtà possibile” e le aspettative nei confronti di un bimbo così definito si chiudono in una reciproca determinazione.
La diagnosi rischia talvolta di esercitarsi come forma di potere: i costrutti che la diagnosi attribuisce alle persone tendono ad essere spesso “prelativi” o “costellatori” e le etichette diagnostiche diventano canali di passaggio di significati personali e collettivi.
Il problema principale è che difficilmente si riesce a concepire il bambino come individuo, come costruttore di teorie, che tende, invece, a validare o invalidare, con la continua esperienza della realtà.



…E NON PERCHE’ IL GIOCO?

Le tecniche costruttiviste cercano di porsi come obiettivi l’espressione libera di costrutti personali e l’analisi dei modi principali con cui la persona dà senso al mondo.
I bambini, in particolare, non dovrebbero essere visti come un adulto in miniatura, ma capiti in un’ottica evolutiva (Freeman et al., 1997; Smith & Nylund, 1997). Per facilitare l’espressione e l’esplorazione del sistema di costrutti di un bambino, il terapista dovrebbe assumere il suo punto di vista, cercando di vedere e comprendere la realtà attraverso i suoi occhi.
A differenza degli adulti, il cui naturale mezzo di comunicazione è la verbalizzazione, la modalità spesso preferita dai bambini è il gioco spontaneo e il movimento.
Il gioco è un mezzo di interazione e di scambio e costringere il bambino ad utilizzare l’espressione verbale con il clinico potrebbe porre una barriera alla relazione terapeutica: è come se si dicesse al bambino “tu devi relazionarti con me utilizzando la mia modalità espressiva, perché io preferisco questa”. Diventa perciò responsabilità dello psicologo assumere il punto di vista del bambino e comunicare con lui utilizzando il mezzo con il quale il bambino si sente più a suo agio. Perché dovrebbe essere il bambino ad adattarsi all’adulto? Dovrebbe essere il terapeuta colui che deve sviluppare capacità empatiche con il cliente, riuscire a comunicare a qualsiasi livello, come pure possedere una comprensione dello sviluppo del bambino.
Il gioco diventa allora un mezzo attraverso il quale i conflitti possono essere risolti e le emozioni comunicate attraverso una relazione interpersonale dinamica; il terapeuta favorisce ciò mettendo a disposizione del bambino una serie di giochi selezionati.
La maggior parte dei bambini al di sotto dei 10 anni d’età non possiede le abilità verbali per esprimere pienamente i propri pensieri, sentimenti, reazioni ed emozioni, e qui viene in aiuto il gioco che facilita la comunicazione delle esperienze e reazioni a tali esperienze, dei desideri e obiettivi, delle percezioni di sé stessi, del mondo e degli altri (Kottman, 2001, 2003; Landreth, 2002; Aranson et al., 2005).

Caplan e Caplan (1974) sostengono che:
- il gioco è un’attività spontanea e permette l’espressione e il conseguente alleviamento delle tensioni;
- nel gioco i bambini non si sentono sottoposti a valutazioni e giudizi da parte dell’adulto;
- il gioco incoraggia la fantasia e l’uso dell’immaginazione e i bambini possono anche esercitare il loro bisogno di controllo;
- i bambini possono avere uno span attentivo relativamente basso ed essere perciò riluttanti a partecipare ad attività che possono essere di basso interesse;
- il gioco incoraggia lo sviluppo fisico e mentale.

D’accordo con Kottman (2001) l’uso del gioco in diagnosi e terapia è utile per:
- stabilire e mantenere un’alleanza terapeutica con il bambino;
- aiutare il terapeuta a comprendere il bambino, come pure le sue modalità relazionali;
- aiutare i bambini ad esprimere i sentimenti, in quanto a volte sono incapaci o riluttanti a comunicarli verbalmente;
- aiutare i bambini a manifestare la propria ostilità, ansia e frustrazione;
- aiutare i bambini ad acquisire e praticare le abilità sociali;
- creare un ambiente nel quale i bambini si sentano liberi da limiti dettati da test e possano così esplorare le alternative e imparare dalle conseguenze.

Bratton e Ray (2000), come pure Schaeffer e Kaduson (2006) hanno riassunto la letteratura della play-therapy rivedendo 100 casi e 82 ricerche sperimentali.
I casi studiati hanno indicato che i clienti, con i quali è stata utilizzata la terapia del gioco, mostrano cambiamenti significativi e costruttivi nel comportamento, come pure una diminuzione dei livelli di comportamenti sintomatici, se comparati con il comportamento iniziale, prima dell’inizio della terapia.
Le ricerche sperimentali suggeriscono, invece, che la terapia del gioco può essere utile con i bambini con problematiche socio-relazionali, paura ed ansia, difficoltà collegate all’autostima, problematiche fisiche e dell’apprendimento.

LA TERAPIA COSTRUTTIVISTA CENTRATA SULL’INDIVIDUO ADULTO O BAMBINO

Molti autori che sposano la teorizzazione costruttivista definiscono le tecniche terapeutiche tradizionali oppressive e puntano a modalità collaborative nei confronti del cliente.
Smith (1997), per esempio, delinea tre caratteristiche dei terapeuti che adottano le tecniche tradizionali:
- limitano lo scopo del dialogo terapeutico alla pura prestazione e rischiano di prestare attenzione solamente al contenuto, al risultato pratico, che rientra, però, nella cornice teorica del clinico e/o viene selezionato in funzione dell’interesse del terapeuta;
- rischiano di giustapporre il loro punto di vista circa la realtà esterna rispetto alla visione del mondo del cliente, in nome della scienza empirica;
- possono irrigidirsi su determinati contenuti teoricamente determinati, assumendo il ruolo dell’esperto, senza giungere a comprendere pienamente la realtà percepita dal cliente, il quale la veicola attraverso una modalità preferita di espressione (verbale o non verbale).

L’orientamento al soggetto è un punto centrale della diagnosi costruttivista e Kelly (1955) pone nel suo lavoro una serie di domande, le quali possono aiutare a valutare la validità, in senso costruttivista, di una tecnica o di uno strumento.

1) DEI CRITERI DI CHI SI FA INTERPRETE LO STRUMENTO?
Se lo strumento è stato costruito dal teorico per misurare certe variabili, si corre il rischio di collocare la persona lungo gli assi di riferimento accettati dall’ideatore dello strumento, impedendole di esprimersi nei suoi termini.
Attraverso il gioco, viene data la possibilità al bambino di comunicare le sue costruzioni, utilizzando modalità a lui congeniali: i giochi che sceglie di fare, con il quale si esprime, diventano le sue parole.

2) SI POSSONO RICAVARE COSTRUTTI PERMEABILI?
Un costrutto è permeabile quando può aggiungere nuovi elementi al suo campo di pertinenza; in questo modo si co-costruisce assieme alla persona un orientamento verso il futuro, enfatizzando le sue possibilità di sviluppo.
Il gioco si presta ad essere estremamente flessibile a riguardo: la fantasia e la creatività diventano mezzi potenti, che possono esemplificare al bambino modalità alternative per costruire la “sua storia”.

3) GLI ELEMENTI IN GIOCO RAPPRESENTANO EVENTI DI VITA?
La persona dovrebbe essere messa a confronto con “elementi” che appartengono al suo “mondo”. In certi test, gli item e le immagini con cui i soggetti devono confrontarsi risentono dell’invecchiamento determinato dal periodo in cui è stata effettuata la standardizzazione e non hanno alcun riferimento con la vita del cliente.
Qui gioca un ruolo importante la selezione fatta dal clinico, circa i giocattoli da mettere a disposizione del bambino, che dovrebbero essere rappresentativi della vita di tutti i giorni del cliente, dando a lui, però, la possibilità di scelta.

4) QUAL’E’ L’EQUILIBRIO TRA STABILITA’ E SENSIBILITA’?
Lo strumento dovrebbe rappresentare le successive posizioni che un sistema occupa all’interno delle dimensioni nucleari e non di quelle periferiche.
Il gioco (i scenari ambientali inventati, il numero e la complessità dei personaggi inseriti, le dimensioni spazio-temporali, ecc.) si modifica nel tempo, riflettendo l’evoluzione del sistema di costrutti del bambino.

5) SI POSSONO RICAVARE COSTRUTTI COMUNICABILI AD ALTRI CLINICI?
Il linguaggio comune con cui le persone esprimono la loro esperienza è quello che permette la più ampia comunicabilità. Il linguaggio della psicologia dovrebbe abbandonare la tendenza a tecnicizzare il linguaggio, proprio ai fini dell’intersoggettività della conoscenza.
Il gioco è qualcosa che fa parte del nostro patrimonio culturale comune, rendendo anche il linguaggio utilizzato, fatto di gesti e movimenti, condiviso e comprensibile.

6) LO STRUMENTO RIVELA LE POSSIBILITA’ DI SVILUPPO DEL SISTEMA?
La validità di una tecnica è data dall’opportunità che offre di formulare ipotesi cliniche da mettere alla prova.
Il gioco diventa un mezzo estremamente flessibile, che può rivelare anche il potenziale di sviluppo.

Una cornice teorica che assume come suo principio basilare la teoria centrata sulla persona è anche quella di Carl Rogers (Hoyt, 1994).
Harlene Anderson (2001), promotrice della terapia costruzionistica-collaborativa, confronta la terapia centrata sulla persona con l’approccio costruzionista, affermando che la terapia di Rogers condivide con gli approcci costruttivi e costruzionistici i seguenti punti:
- il cliente è considerato il primo esperto della sua vita;
- il terapeuta presta notevole attenzione ai costrutti personali del cliente e a come il cliente sceglie di esprimerli;
- il terapeuta rappresenta solo un mezzo per il cliente di ritrovare in sé le risorse che già possiede, allo scopo di continuare ad evolvere, allontanando così il cliente dalla situazione di immobilità.

Anche il bambino, come l’adulto, è un individuo in divenire, che dovrebbe essere visto come un esperto della sua vita attuale, lasciando a sé stesso la libertà di esprimersi a suo piacimento. Il suo mondo, la sua percezione di realtà non sono le nostre e conseguentemente non ha alcun senso imporgli la nostra realtà o visione delle cose. Proprio in virtù dell’importanza attribuita alla centralità dell’individuo, bisognerebbe assumere il punto di vista del bambino, sposando il corollario della socialità.


NOZIONI ALLA BASE DELLA PLAY-THERAPY

I giochi ed i materiali devono essere scelti con estrema cura, non collezionati, in quanto sono una parte essenziale del processo di comunicazione del bambino.
Landreth (2002) ne cita per esempio 3 categorie: giochi che possono rappresentare per il bambino la vita di tutti i giorni ( bambole, piatti, cucina gioco, registratore di cassa, kit del medico ecc…), giochi che possono permettere ai bambini di esprimere l’aggressività ( pistole, soldatini ecc.), giochi che possono permettere l’espressione creativa ed emotiva (acqua, sabbia, carta, pennarelli, didò ecc).
Lo spazio ideale per la play-therapy è una stanza da giochi ampia e silenziosa. Il terapeuta deve creare uno spazio che lo faccia sentire a suo agio, al fine di manifestare la sua massima creatività nei confronti del bambino. Il bambino, dal canto suo, deve sentirsi libero di esprimersi, ma anche di sentirsi capito e accettato ed avere la possibilità di controllare certe situazioni, come pure di percepirsi efficace e capace di assumersi la responsabilità circa le proprie decisioni.
Interessanti sono alcune dinamiche che possono essere usate a seconda del bambino che si ha di fronte e che meriterebbero di essere approfondite o ricreate nella terapia costruttivista (Carlson, Watts, & Maniaci, 2006; Kottman, 2001, 2003, 2003; Landreth, 2002). Nel gioco è importante:
- restituire al bambino ciò che lui stesso fa, con le parole, con i gesti, ripetendo il suo stesso gioco, o seguendo quello da lui delineato, in modo da valorizzare ciò che lui porta nella relazione, aiutandolo a ricostruire un senso o una continuità;
- restituire parafrasando al bambino le emozioni che esprime nel gioco o dando voce ai giochi che sceglie di attuare;
- trasmettere al bambino un senso di competenza e di capacità, sottolineando verbalmente le sue competenze;
- lasciare libero il bambino di delineare il suo gioco, restituendogli la sensazione di responsabilità circa le decisioni che prende (“tu puoi decidere”).

Anche i limiti sono importanti e possono essere terapeutici, quando necessari. Essi includono (Carlson, Watts, & Maniaci, 2006; Kottman, 2001, 2003; Landreth, 2002):
- proteggere la sicurezza fisica ed emotiva del bambino;
- proteggere il terapeuta e promuovere la sua accettazione nei confronti del bambino;
- facilitare l’auto-controllo nel bambino;
- ancorare la natura metaforica e fantasiosa della play-therapy al qui ed ora della situazione presente.

La play-therapy diventa un’opportunità, data al bambino, di esprimere la sua storia e il suo punto di vista e grazie a questo focus sull’immaginazione e sulla fantasia nel gioco, dà al bambino la possibilità di farsi sentire, senza utilizzare informazioni filtrate dal sistema di costrutti personali dei genitori, degli insegnanti o dei teorici che hanno creato test psicometrici. Il paziente può quindi raccontare da sé la sua storia ed utilizzare le sue abilità e capacità per creare, con l’aiuto del terapeuta, storie alternative.


BIBLIOGRAFIA

Anderson, H. (2001). Postmodern collaborative and person-centered therapies: What would Carl Rogers say? Journal of Family Therapy, 23. 339-360.

Aranson, I.J., Maria, G., Aranson, J. I., Landreth, G.L., Jones L. (2005). A practical handbook for building the play therapy relationship. Rowman & Littlefield.

Bratton, S., & Ray, D. (2000). What the research shows about play-therapy. International Journal of Play Therapy, 9(1), 47-88.

Caplan, F., & Caplan, T. (1974). The power of play. New York: Anchor Books.

Carlson, J., Watts, R.E., & Maniacci, M.(2006). Adlerian therapy: Theory and Practice. Washington, DC: American Psychology Association.

Freeman, J., Epston, D., & Lobovits, D. (1997). Playful approaches to serious problems: Narrative therapy with children and their families. New York: Norton.

Hoyt, M.F. (1994). Introduction: Competency-based, future-oriented therapy. In M.F. Hoyt (Ed.), Constructive therapies (pp.1-10). New york: Guilford.

Kelly, G.A. (2004). La psicologia dei costrutti personali. Teoria e personalità. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Kottman, T. (2001). Play therapy: Basics and Beyond. Alexandria, VA: American Counseling Association.

Kottman, T. (2003). Partners in play: An Adlerian approach to play therapy (second edition). Alexandria, VA: American Counseling Association.

Landreth, G.L. (2002). Play therapy: The art of the relationship (second edition). New York: Brunner-Routledge.

Schaeffer, C.E., Kaduson, H. (2006). Contemporary play therapy. New York: Guilford.

Smith, C., Nylund, D. (1997). Narrative therapies with children and adolescents. New York: Guilford.
CURRICULUM VITAE


DATI PERSONALI

Eva Beghetto

Studio presso via Galileo Galilei, 14/D 35019 Tombolo ( PD)

E-mail eva.beghetto@gmail.com

STUDI

Laurea triennale in Scienze Psicologiche dello Sviluppo e dell’Educazione, curriculum specifico: Psicologia dell’Infanzia e dell’Adolescenza, conseguita presso l’Università degli studi di Padova in data 27/09/04, con votazione 110/110, discutendo la tesi sperimentale dal titolo: Relazione sui risultati dell’applicazione del questionario autovalutativo TSIS, the TrØmso Social Intelligence Scale, in due istituti di istruzione secondaria superiore. Relatrice: Prof.ssa Beatrice Benelli, Relatore esterno: Dott. Gianluca Gini.

Laurea specialistica in Scienze Psicologiche dello Sviluppo e dell’Intervento nella scuola, curriculum specifico: Psicologia della salute del bambino e della famiglia, conseguita presso l’Università degli studi di Padova in data 28/10/06, con votazione 110/110 e lode, discutendo la tesi sperimentale dal titolo: Analisi della comunicazione nella triade Pediatra-Bambino-Genitore nell’ambito dell’ambulatorio pediatrico; Una ricerca con bambini dai 2 ai 10 anni. Relatrice: Prof.ssa Sabrina Bonichini, Controrelatrice: Prof.ssa Alessandra Simonelli.
Il lavoro di ricerca attuato è centrato sulla tematica della comunicazione verbale e non verbale tra pediatra, paziente e genitore, messa in atto durante la visita medica e di come la percezione del dolore del bambino possa influire l’andamento della visita e il colloquio stesso. Il lavoro si è concluso con un confronto, sulla struttura comunicativa durante la visita medica e sulle strategie di coping, tra i bambini visitati in pediatria e i bambini diabetici osservati presso l’ospedale di Trento da una mia collega. Per quanto mi riguarda, la raccolta dati è stata condotta nel reparto pediatrico dell’ASL 15 di Cittadella (PD), con la collaborazione del Primario di reparto, Dott. Flaviano Lago.

Ho sostenuto, con esito positivo, l’Esame di Stato per l’abilitazione alla professione di Psicologo in data 29/5/07 e risulto iscritta dal 13/09/07 all’Albo Professionale dell’Ordine degli Psicologi del Veneto; numero d’iscrizione all’Albo 6138.

Sono una Psicoterapeuta Costruttivista specializzata presso la scuola di Psicoterapia Costruttivista, Institute of Constructivist Psychology S.r.l. di Padova.

Sono un’ Ipnoterapeuta Ericksoniana specializzata presso la Scuola Italiana di Ipnosi SIIPE.

Sono una Psicomotricista Educativo-Relazionale specializzata presso il  Corso triennale di “Psicomotricità nella comunicazione interpersonale” presso il Centro di Studi e Scuola di formazione in Psicomotricità PEGASUS, affiliato a DIADACON o.n.l.u.s.

Diploma quinquennale con indirizzo perito commerciale corrispondente in lingue estere, corso sperimentale linguistico “ERICA” con presenza di tre lingue straniere, inglese, tedesco e spagnolo, conseguito presso l’Istituto Tecnico Statale Commerciale e per Geometri Giacinto Girardi di Cittadella (PD) in data 10 luglio 2001, con votazione 86/100.

Stage aziendale.

CONOSCENZA DELLE LINGUE

Ottima conoscenza della lingua inglese scritta e parlata.
Discreta conoscenza della lingua spagnola e tedesca scritta e parlata.

CONOSCENZA DEI SISTEMI INFORMATICI

Buona conoscenza dei sistemi operativi Windows, Word, Excel e Power Point.
Discreta conoscenza del software di ricerca SPSS.

FORMAZIONE ED ESPERIENZE PROFESSIONALIZZANTI

Tirocinio promosso dal corso di laurea:
- durante l’a.a. 2002/2003 presso il Servizio di Neuropsichiatria, Psicologia e Riabilitazione per l’Età Evolutiva dell’ASL 15 di Cittadella (PD). Tutor: Psicologo Stefano Spanevello. Tirocinio complessivo di 150 ore;
- durante l’a.a. 2005/2006, attualmente in corso, presso il Servizio di Neuropsichiatria, Psicologia e Riabilitazione per l’Età Evolutiva ed il Reparto Pediatrico dell’ASL 15 di Cittadella (PD). Tutor: Psicologo Stefano Spanevello. Tirocinio complessivo di 1000 ore, 500 pre-lauream e 500 post-lauream.
Tale tirocinio verrà suddiviso in due progetti distinti, riguardanti rispettivamente il semestre pre-lauream (dal 16/02/06 al 16/08/06) e il semestre post-lauream (da 15/11/06 al 15/05/07): il primo progetto, focalizzato sull’analisi della struttura organizzativa del servizio e sulle modalità di lavoro, si è arricchito anche di partecipazioni a colloqui clinici, riunioni d’equipe, formulazioni di piani di lavoro, visite a comunità terapeutiche, PDF, inoltre si è ragionato con lo Psicologo dell’età evolutiva su formulazioni di diagnosi e discussioni sull’uso di test e questionari; il secondo progetto sarà incentrato sull’importanza della figura dello psicologo della salute all’interno del reparto pediatrico e verrà pianificato nel dettaglio con il Primario del reparto pediatrico, lo Psicologo dell’età evolutiva, la Neuropsichiatria dell’età evolutiva ed il Responsabile del servizio di Neuropsichiatria, Psicologia e Riabilitazione per l’Età Evolutiva.

Attività Lavorativa, tramite contratto a progetto presso la Cooperativa sociale AGORA’ di Castello di Godego (TV) con bambini e ragazzi con Autismo e/o Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, dopo il Volontariato svolto presso la stessa struttura, iniziato a partire da gennaio 2007.

Attività Lavorativa, presso la scuola elementare di Sant’Andrea Oltre il Muson (TV) e la Scuola Materna Nido Integrato L.A. Cagnin, Parrocchia della Natività B.V. Maria di Trebaseleghe (PD), in termini di gioco psicomotorio e attività psicomotoria.

Attività Psicomotoria, presso la Cooperativa Agorà di Castello di Godego (TV), con cadenza di 2/3 volte a settimana.

Attività Lavorativa, presso il Centro Ricreativo di Galliera Veneta (PD), in termini di supporto e aiuto nei compiti, gioco psicomotorio e attività psicomotoria a bambini delle classi elementari, certificati o meno.

Attività Lavorativa, attualmente in corso, presso la Scuola Materna Nido Integrato L.A. Cagnin, Parrocchia della Natività B.V. Maria di Trebaseleghe (PD), in termini di gioco psicomotorio e attività psicomotoria.

Attività Lavorativa, presso l’IPSSS “F. Nightingale” di Castelfranco Veneto (TV), in termini di laboratorio di attività psicomotoria, con adolescenti di scuola superiore.

Collaborazione Lavorativa, attualmente in corso, presso lo Studio Kinesis di Treville di Castelfranco Veneto, della Dott.ssa Chiara Bordignon, Fisiokinesiterapista e Psicomotricista, come Psicologa della Salute e Psicomotricista.

Attività lavorativa, attualmente in corso, presso la scuola elementare di Onara di Tombolo (PD), in termini di gioco psicomotorio e attività psicomotoria.

Attività lavorativa, attualmente in corso, presso l'Istituto Comprensivo Statale di San Martino di Lupari (PD), in termini di gioco psicomotorio e attività psicomotoria.

Attività lavorativa privata presso il proprio Studio di Psicologia e Psicomotricità relazionale, in termini di Consulenza, Sostegno, Diagnosi, Gruppi di auto/mutuo aiuto, Psicomotricità, Benessere mente-corpo; aree di intervento: Infanzia, Adolescenza, Famiglia. Lo studio risiede presso Via Marconi, 56, 35015, Galliera Veneta (PD); http://studiodipsicologiaevabeghetto.blogspot.com

Attività di Volontariato presso la Comunità Doppia Diagnosi e la Comunità Alcologica di Castelfranco Veneto (TV), convenzionate con l’ASL 8 di Asolo (TV).

Partecipazione al Fondo Sociale Europeo (FSE) nell’a.a. 2002/2003.
Partecipazione al Brief International Course on Child Health Psychology about Cancer, Chronic Pain, Stress and Coping ( con L. Zeltzer, P. Zeltzer, M. Lewis, S. Miller).

Partecipazione al seminario dal titolo “L’Aiuto Psicomotorio al bambino con handicap: Accompagnare o Riabilitare?”, condotto dal Prof. Bernard Aucouturier.

Partecipazione a seminari, workshop su temi specifici inerenti alla psicologia dello sviluppo, alla psicopatologia, alle relazioni genitori-figli e ai relativi modelli di intervento.

Ripetizioni di lingua inglese, tedesca e spagnola.

Aiuto nell’attività di vendita nel negozio di proprietà della famiglia.

INTERESSI PERSONALI

Gli ambiti di cui più mi interesso, che ho approfondito con esami specifici durante la carriera universitaria, ma anche da autodidatta e che intendo continuare ad approfondire riguardano tutto il mondo adolescenziale e le conflittualità tipiche, il rapporto mente-corpo, il supporto didattico e interventi nell’ambito delle difficoltà di socializzazione del bambino o del ragazzo, la comunicazione verbale e non verbale, le emozioni, l’intelligenza sociale, la socializzazione, il disagio sociale, la psicomotricità e i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo.

PROGETTI FUTURI

Mi piacerebbe entrare a far parte o fondare uno studio associato, all’interno del quale figure professionali diverse collaborino al fine di proporre al territorio e all’utenza progetti e servizi diversificati, ottimizzando la qualità della prestazione, proprio grazie alla sua natura multiprofessionale.

NOTE

Autorizzo il trattamento dei miei dati personali in conformità alla legge 675/96.